di Irene Isidori Fonte: www.cittanuova.it La difficile scelta di portare avanti la gravidanza, nonostante la grave malformazione del feto.
Il test di gravidanza era positivo. Che gioia! Mio marito dormiva ancora, ed io non vedevo l’ora di condividere con lui la splendida notizia di un secondo figlio. Ho subito cominciato ad allentare la cintura dei pantaloni per paura di far male al bimbo, ed ogni minuto pensavo a tutto quello che sarebbe potuto essere. Io e Simone iniziavamo a fare mille progetti, a litigare per il nome, ad esprimere i nostri desideri sul sesso del nascituro.Il 28 gennaio avremmo finalmente visto il bimbo per l’ecografia del primo trimestre: l’emozione è tanta, ed il ginecologo si fa attendere. Appena appoggiato l’ecografo sul mio addome, il medico dice: «Qui abbiamo un problemino». «Cosa c’è?» chiedo. «Un accumulo di liquido – risponde – si chiama igroma cistico. C’è anche un’idrope fetale diffusa». Arrivano subito altri due ginecologi che confermano la diagnosi e concludono dicendo: «Signora è grave, è molto grave!». Il medico ci propone di fare delle analisi per capire la causa del problema, e ci spiega che il feto potrebbe avere una grave malformazione cardiaca che non gli permette di drenare i liquidi. Seguiamo il consiglio, e dopo aver fatto la villocentesi scopriamo che è una bimba e che ha la sindrome di Turner.
Le ecografie successive confermano la presenza di eccesso di liquido in ogni parte del suo corpicino. I medici ci consigliano di valutare bene la situazione, perché in questi casi è possibile interrompere volontariamente la gravidanza. Io e Simone però, guardandoci negli occhi e nell’anima, abbiamo già deciso di non uccidere la nostra creatura, ma di accompagnarla e accudirla finché il Signore ce la lascerà.
Dentro di me iniziano ad accumularsi pensieri e paure: cosa succederà e se mia figlia riuscirà a vivere? Come vivrà? Sarò in grado di affrontare una situazione del genere? Qualcuno attorno a noi ci ricorda l’aborto come soluzione al problema. Ricordo ancora i consigli di alcuni amici: «Ma se porterai avanti la gravidanza fino alla fine e poi la bambina morirà, ti logorerai!». Per giunta, mi venivano in mente tutti i bambini che seguo alla scuola speciale del Bignamini di Falconara per il mio lavoro di insegnante di sostegno, affetti da malformazioni e deficit cognitivi molto gravi.
Nello stesso tempo però sento anche una grande fiducia nell’amore di Dio. Chiamo alcune persone che mi vogliono bene e con cui condivido la fede. Sento tutto il loro sostegno, una forza e un coraggio straordinari che mi vengono dalla certezza che fare la volontà di Dio è continuare ad amare quella creatura così com’è. In alcuni momenti vorrei scendere dalla croce, ma grazie alla preghiera e all’Eucaristia, ritrovo la forza per dire ancora il mio sì.
In ogni momento Dio ha continuato a farmi sentire il suo amore attraverso tutte le persone che hanno pregato per noi, che cercavano di sostenermi con una telefonata o attraverso Giada, mia figlia di tre anni. Ogni volta che una lacrima iniziava a bagnare il mio volto, c’era lei che in qualche modo mi ridava la gioia e mi faceva pensare: «Può quel Dio che ci ha donato una bimba così bella e preziosa, darci ora qualcosa di brutto?».
In un momento di scoraggiamento mi viene ricordato un articolo apparso su Città Nuova, dal titolo Feto malformato che fare?. Nell’articolo il prof. Noia, ginecologo del Gemelli di Roma, propone ad una donna che porta in grembo una bambina destinata alla morte – e che vorrebbe quindi abortire – di accompagnarla fino alla fine naturale. Mi colpisce particolarmente una frase: «Se venisse un ematologo e le dicesse che il suo bambino di tre anni è inguaribile e tra qualche mese morirà, lei lo curerebbe e accompagnerebbe, vero? (…) Cosa cambia se ha tre anni o tre mesi? La prima sofferenza è quella di togliergli la vita. Ma soprattutto di togliergli l’amore, perché lei soffrirà se accompagna il bambino, ma soffrirà in modo molto maggiore se lo uccide. Con la differenza che nel primo caso lei soffre accompagnandolo, ma poi il dolore si stempera nella consapevolezza di aver amato suo figlio fino alla fine, e questo le farà un bene che non può immaginare. Nell’altro caso, lei avrà distrutto suo figlio, il suo progetto, sarà quasi come una separazione da una parte di sé stessa».
Decido di contattare l’associazione di cui fa parte il dott. Noia, “La Quercia Millenaria”, e subito mi mettono in contatto con una coppia di Montelabbate, che ha fatto l’esperienza di accompagnare fino alla nascita la loro bimba malformata e di vederla morire pochi minuti dopo. Laura, la mamma, mi consiglia di non sprecare neanche un minuto della vita di mia figlia, di accarezzarla e parlarle. Io non ci riesco, e l’aiuto mi arriva da Giada. Le avevo spiegato che nella mia pancia c’era la sua sorellina, che però era ammalata e aveva bisogno di cure e amore. Lei ha iniziato a parlarle, ad accarezzarmi la pancia e fare forza alla sorella. Grazie a questo io e Simone siamo anche riusciti a darle un nome, e la scelta è caduta su Sara.
Il 27 febbraio abbiamo scoperto dall’ecografia che il cuoricino di Sara aveva smesso di battere. Avevamo però la assoluta certezza che nostra figlia era già in Paradiso e stava pregando per noi. Ci siamo sentiti come trasportati vicino a lei e nel nostro cuore c’era solo la pace, la serenità per averla amata fino alla fine. Il giorno dopo mi hanno ricoverata per il parto indotto, e mentre tutti si chiedevano quale immane sofferenza dovessi affrontare, io sentivo di aver dato realmente mia figlia alla Luce, che è Dio. Non sentivo il vuoto, ma la pienezza dell’amore che Sara dall’alto ci donava.
«Grandi cose ha fatto il Signore per noi», abbiamo cantato durante la preghiera di benedizione al cimitero davanti alla piccola bara con il suo corpicino. Un corpicino malformato, incapace di provvedere a se stesso, ma capace di generare in poche settimane la vita attorno a sé, di scandalizzare alcuni nostri amici, parenti, conoscenti, e nello stesso tempo in grado di unire in uno splendido abbraccio spirituale tutte le persone che con sincero affetto e ammirazione si sono strette attorno a noi.
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Grande mamma, grande famiglia vi ammiro dal profondo del cuore.